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​Io San Salvario l’ho conosciuta il mio secondo giorno di vita torinese. Raggiungevo la redazione di una piccola testata giornalistica con cui avevo iniziato a collaborare, al quinto piano senz’ascensore di uno stanco palazzo di via Ormea. Mi ricordo che quel posto mi ricordò subito la via Padova milanese, quella mescolanza di volti, idiomi, odori, sapori, colori ovvero la straordinaria e magica multiculturalità che fa di un luogo un meta-luogo, finanche un nuovo mondo. E poi ancora la Sinagoga, un uomo che ho rincorso in una notte da scordare, l’attesa in macchina prima di una nuova ripartenza, una delle tante, della mia vita. Così per me che scrivo storie, annuso umanità, scruto gente per creare impasti nuovi di immagini, pagine, stringhe musicali, clamori di scena quel quartiere è divenuto, da allora, simbolo a cui dedicare, oggi, qualcosa di doveroso e, per coloro che ancora non ne conoscono la bellezza, illuminante. A San Salvario va oggi, quindi, il mio tributo d’amore con questo festival di cortometraggi che, già nella denominazione, ma soprattutto nella duplice sezione dedicata a I Nativi (ovvero coloro che nascono, vivono, crescono o anche, perché no, devono lasciare quel quartiere) vuole riportare alla luce un mondo sommerso, sconosciuto, a volte equivocato, ignorato o scostato e fare del quartiere una nuova fucina della cinematografia italiana, diventando nuovo e potente fulcro di attrazione per quegli addetti ai lavori che, fino ad oggi, hanno deciso di girare altrove.

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Alessandra MR D’Agostino

 Â®ph.alessandramrdagostino

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